IL PESO DELLE PAROLE. DONNE, ETICHETTE E OLIMPIADI.
Sono passati quasi 3 anni dalla mia prima gara di pole dance.
Tanto sudore, tante lacrime e un terzo posto senza medaglia perché premiavano solo i primi e i secondi classificati. Nel mio piccolo lo ritenni un successo: il pubblico si divertì, la mia insegnante pianse e i giudici si complimentarono con me per l’originalità dell’esibizione.
Eppure quando penso a quella giornata la prima cosa che mi viene in mente non sono i sorrisi, le foto, la levataccia o le lacrime isteriche nel parcheggio del palazzetto, ma è il commento di quello che fu il mio coach degli esordi che, appena scesa dal palco, mi disse “dobbiamo lavorare ancora su quei cosciotti“. Nonostante “cosciotti” suoni decisamente meglio di “cicciottella”, quella parola mi ferì tantissimo e spostò il suo peso direttamente dalle mie chiappe al mio cuore. Non riuscivo a capire come mai una persona riuscisse a vedere per prima cosa, come unica cosa, solo le mie adiposità, invece di tutto il gran c… che mi ero fatta per arrivare pronta alla gara. Non licenziai il mio coach, per lui scelsi una punizione peggiore: lo sposai.