Archivio | gennaio, 2016

Bingo Wings, una questione di famiglia.

25 Gen

Ogni anno 7 donne su 10 sono colpite dalla sindrome delle Bingo Wings, senza possibilità di appello.

Le Bingo Wings sono quelle porzioni di carne moscetta che collegano le ascelle ai gomiti, che sventolano fiere e a rallentatore quando corriamo, saltiamo, salutiamo e, naturalmente, quando possediamo una cartella vincente al Bingo. Sulle Bingo wings, anche note come ali di pipistrello o di scoiattolo volante,  è già stato scritto tutto e il contrario di tutto. Credo che ogni blog abbia un post sulla ciccia brachiale, un po’ come sul discorso dei calzini spaiati,  e dunque anche io voglio dare un contributo sull’argomento. Il mio intervento però è puramente scientifico, perché negli ultimi tre anni ho svolto studi approfonditi sull’argomento e test complessi, usandomi come cavia. 

Donne, ho una rivelazione sulle mantovane ascellari che o vi riporterà il sorriso, e la fiducia nel futuro, o vi farà venire voglia di spiccare il volo da un albero. Siete pronte?

Le Bingo Wings  non dipendono dall’età. Una volta un’amica mi ha detto che spuntano intorno o subito dopo i 30. Ecco, non è vero.

Non dipendono dalle gravidanze. Conosco donne che hanno avuto 3 figli e hanno le braccia asciutte e nervose come le keniote delle Olimpiadi.

Non dipendono da quello che mangi. Le ho viste anche su ragazze molto magre e perennemente a dieta.

E, udite udite, non dipendono da quanto sport fai. IO SONO LA PROVA VIVENTE. Mi ammazzo di pole dance, potenziamento (che comprende anche morte per trazioni), yoga e danza, eppure sono presenti e oscillanti più che mai, tanto da costringermi al saluto Elisabettiano che prevede la rotazione della mano sul proprio asse mantenendo il braccio aderente al corpo.

E allora da cosa dipendono? GENETICA, signore mie. Guardate le vostre mamme, zie, nonne, cugine ed esultate o, come nel mio caso, piangete. Non è la pigrizia, non è la lasagna e non è nemmeno la sfiga: sono i vostri geni. Le Bingo wings sono scritte nel vostro DNA, oltre che essere disegnate sotto le vostre ascelle. Quindi, potete pure lottare come forsennate, ma non esiste prevenzione e nemmeno cura per il vostro fardello di famiglia. Non vi resta dunque che sventolarle orgogliose ai  4 venti, oppure mascherarle con la creatività, proprio come faccio io.

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Questo è un ottimo modo per nascondere le Bingo Wings.

 

 

 

 

I Queen, David Bowie e la mia eredità.

14 Gen

In tutte le cose, io arrivo sempre in ritardo.

Ditemi pure che ho il quarto d’ora accademico nel DNA, come diceva un mio prof. all’Università, ma io l’articolo nel cassetto non ce l’ho mai avuto. Per due ragioni: la prima è che non scrivo articoli, la seconda è che se a me una cosa non parte dalla panza, non parte per niente.

E bene, il mio pezzo de panza succede adesso, alle 23:25 del 13 Gennaio, dopo una cena con mio padre; una persona che vedo poco e penso spesso. Non è molto quello che voglio raccontarvi, solo un ricordo. Il ricordo di una bambina di 11 anni che nel 1992 rimaneva sveglia fino a tardi con i suoi genitori, che sarebbero stati ancora per pochi anni apparentemente felici, per vedere il Freddy Mercury Tribute Concert.

Quella bambina voleva sentire, e vedere, le canzoni del Greatest Hits II che suo padre ascoltava sempre in macchina e che lei interpretava con grandissima passione e un inglese del tutto discutibile, soprattutto  quando si trattava della sua traccia preferita “Ai Uan Tu BRI Fri”, naturalmente.

Aspettava tutte le canzoni a lei note, quella sera, qualcuna arrivava, qualcun’altra faceva fatica a riconoscerla; l’interpretazione degli artisti talvolta può risultare ostica per orecchie poco evolute. Fino a quando arrivò la traccia 2. Quella traccia che la divertiva meno di “Ai Uan Tu Bi Fri”, ma che provocava reazioni emotive inspiegabili. 

Era Under pressure quella canzone che, nonostante la sua giovane età e la totale mancanza di comprensione del testo, la faceva uscire fuori. Ma come mai proprio quella canzone  la mandava così in estesi? Si trattava sia di Under Pressure e non di Under Pressure.

Si trattava di David Bowie, che fino al quel momento era stato per lei solo una splendida una voce. Fu amore. 

Non è un post strappalacrime su Bowie, anche se di lacrime per lui ne ho versate tante lunedì e per davvero. Quello che mi ha emozionato stasera, e che ho creduto meritasse di essere raccontato, è stato vedere come lo stesso ricordo può vivere con la medesima intensità in due persone così diverse, di generazioni diverse e a volte così lontane. Un ricordo di quasi 24 anni fa che non è solo un semplice fatto da qualche parte nel passato, ma un passaggio di eredità. La più preziosa che io potessi desiderare e per la quale devo ringraziare  i miei genitori. 

Quanto a David e al mio amore sincero per lui, ci sono conversazioni con mia madre che lo testimoniano. 

Guardando Labyrinth, uscito qualche anno prima del concerto del ’92, ma visto da me solo l’estate successiva:

Selvaggia:  Madre, quanti anni ha David Bowie? (lo ammetto, l’ho fatto anche con Jonh Travolta in Grease e con Patrick Swayze in Dirty Dancing quando ero più piccola)

Madre: Boh, ne avrà 35… (ne aveva già 39, e comunque non riuscivo veramente a capire come mai quell’ingrata di Jennifer Connelly volesse scappare da quello gnocco re dei Goblin)

Selvaggia: Lo posso sposare? (all’epoca era il mio metro d’interesse. Se mi interessava tanto, volevo sposarlo)

Madre: Ma è troppo vecchio per te! (secondo me, lo avrebbe voluto per lei)

Selvaggia: Non adesso! Quando anche io ne avrò 35…

Mannaggia David, non mi hai dato nemmeno il tempo di arrivare a 35. E comunque, bastava dire di no.

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Nella foto, fatta da me in maniera ignorantissima dal video, David Bowie e Annie Lennox quella famosa notte mentre cantano Under Pressure.

 

W le befane perché sono in grado di intendere e di volare.

4 Gen

Sono passati più o meno 18 mesi da quando ho mollato tutto per la pole dance: un posto di lavoro (quasi) fisso, uno stipendio decisamente dignitoso e un ruolo (più o meno) definito.

Come ho fatto? Semplice, a un certo punto della mia vita ho capito che quello che stavo mollando non era tutto. Era semplicemente quello che la società mi aveva sempre fatto credere come “tutto”.

Non è stato semplice. In questi mesi ho preso tante di quelle facciate (anche letteralmente) che sono diventata un carlino. Sono arrivate soddisfazioni, come conseguire il diploma da insegnante, ma anche alcune delusioni, come cannare la gara per cui mi ero preparata tanto solo perché il mio corpo aveva deciso che in quei giorni doveva avere la febbre a 39 e mezzo. Nonostante tanti alti e bassi, non ho mai pensato di tornare indietro. 

La cosa che sembra interessare tutti, più di come sto e come mi sento nella mia nuova pelle, è se riesco a viverci con questa follia. Beh, per riuscirci devo costantemente ridimensionare il mio stile di vita. Non posso più fare cose a caso, devo scegliere sempre tutto in modo molto mirato, anche perché il mestiere che ho deciso di intraprendere richiede formazione costante e numerosi allenamenti che sommati tutti insieme risultano costosi. Spesso, devo fare anche altri lavori per sbarcare il lunario. Ma che importa?

Ciò che conta è che  la mia scelta mi ha permesso di comprendere il significato di alcune cose che prima mi lasciavano indifferente. Come la befana, ad esempio. Insomma, perché il mondo avrebbe bisogno di una brutta mummia che non ha nemmeno un posto nel presepe o su una bibita gassata?  Ecco, ho finalmente capito.  La befana è colei che passa e si porta via le vecchie convinzioni per lasciare posto al futuro. Lei non teme ciò che non conosce,  gli va incontro volando, stretta al suo attrezzo di lavoro. Devo aggiungere altro? 

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Photo Credits: PixCel.fr

Paciocchi sulla bellissima foto: io che gioco con un programma che non so usare.

Sub: io mentre faccio una figura di merda alla gara più importante del mio anno.

 

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