Quel giorno mi dissero solo che dovevo preparare tanta, tantissima, colla. Non aggiunsero altro. A quei tempi, preparare tanta, tantissima colla, significava caricarsi sulla schiena tanti, tantissimi chili di farina. Già, la colla si faceva con la farina. Erano tutti molto nervosi negli Studios, più del solito. Le persone andavano su e giù con dei massi finti, grigi e marroni, come formiche in un formicaio che fanno scorta per l’inverno. Allestivano da una parte all’altra del teatro. Allestivano e spostavano. Quelli che facevano le luci impazzivano non sapendo più dove e cosa illuminare.
– Si può sapere cosa stiamo facendo?
Chiesi al capo scenografo che mi aveva ordinato la colla.
– Tra poco lo scoprirai, ragazzo.
Mi chiamava sempre ragazzo il vecchio Tony, era amico di mio padre e d’estate mi trovava sempre qualche lavoro agli Studios. Adesso che ci penso bene, non era mica così vecchio, visto che doveva avere al massimo una quarantina d’anni. Ma lo vedevo vecchio, nelle mie brache da quindicenne che non sapeva come far passare le vacanze estive.
– Oggi ho sentito che andiamo sulla luna.
Dissi al vecchio Tony per stemperare quell’ansia che si era creata tutta intorno.
– Ah sì? Tu e chi?
Ribatteva Tony mentre arrotolava una spessa fune intorno al braccio come fosse un filo di cotone.
– Noi. Noi americani.
– E ti piacerebbe vederlo?
– Non credo riusciremo a finire di lavorare in tempo…
– Finiremo, finiremo…
– In ogni caso non riuscirei ad arrivare fino da zia Henrietta dall’altra parte della città, lo sai bene che mio padre è contrario alla TV.
– E quando vuoi vedere qualcosa vai da zia Henrietta?
– Sì, ma senza dire che è per quel motivo. Dico che vado a vedere come sta.
– E lei?
– Lei lo sa, ma le sta bene lo stesso. Pur di avere compagnia…
– Adesso lavora, se no niente allunaggio per nessuno.
Fu l’ultima frase che mi rivolse Tony. Non parlammo più, il resto della giornata lo passammo a costruire una specie di superficie sconnessa, tutta massi e buchi. Nulla di più inutile, apparentemente. Sembrava andare tutto bene, quando una voce dal fondo dello studio ammonì il lavoro di ore di tutti.
– No no, non ci siamo. Tony sembra di plastica, non è credibile. E le luci? Questo è il meglio che sapete fare?
Tony ci era rimasto male, lui la plastica non la usava. Usava il legno, la pasta di legno o al massimo qualche resina, ma la plastica mai.
– Buongiorno anche a te, Stan.
– Cristosanto! Non è molto diverso da quello che abbiamo fatto l’anno scorso, Tony. Non dovrebbe essere così complicato.
– Stai scherzando?
– No.
– Ma come diavolo fai a… lasciamo stare, non c’è tempo.
Era la prima volta che vedevo di persona Stan, non ero mai riuscito a immaginarlo. Avevo sentito molto parlare di lui, nel bene e nel male. Un genio? Un pazzo? Un sadico? Ognuno aveva il suo punto di vista su Stan, qualcuno sosteneva che fossero tutti attendibili.
– Elettricisti, laggiù. Tony, attenzione alle ombre. Ragazzo… tu, tu… prepara la colla, tanta colla.
Non potevo crederci, Stan mi aveva rivolto la parola, anche se solo per la colla.
Lavorammo molte ore, sodo e senza mai dire una parola. Alla fine, mi apparve davanti agli occhi un paesaggio desolato, triste, scabro. Un deserto ghiacciato, un deserto investito dalla morte. Pensai che ancora una volta avevamo sbagliato tutto, attendendo senza respirare il giudizio di Stan.
– È perfetto!
Disse Stan, per il nostro immenso stupore, e poi aprì le danze.
– Che lo spettacolo abbia inizio.
Entrarono due astronauti, uno dei due si era già messo il casco. Stan si avvicinò a quello con la testa nuda e gli diede indicazioni.
– Allora, non dovete fare nulla di particolare. Qualche saltello, qualche giro intorno e poi tu prendi la bandiera americana e dici “Un piccolo passo per l’uomo, un grande passo per l’umanità”. Ok?
I due astronuati si limitarono ad annuire a dire in coro come soldati pronti a svolgere la loro missione: “Sì, signor Kubrick.”
Liberamente ispirato alla teoria del complotto lunare.
Selvaggia Scocciata per “Moon” Primo numero del magazine Freaks, cinema e altri fenomeni.
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