In profondo rosso.
In attesa del nuovo Freaks, ecco un mio racconto estratto dal numero interamente dedicato a Torino che potete scaricare e leggere gratuitamente qui:
In profondo rosso.
“Ciao risponde la mia segreteria telefonica. Cioè, chi ti parla sono io… registrato dalla segreteria. Avrai capito che non sono in casa, sempre che tu non abbia già messo giù… quindi, se ti va, lascia un messaggio. Così poi ti richiamo. Ah, non c’è nemmeno Diana. Ciaooo”.
Mi ero divertito a incidere quel messaggio, solo che non avrei mai più richiamato nessuno. Anzi, non sarei nemmeno più tornato a casa, dopo quella sera.
- Dai dai, andiamo. Voglio vedere casa nostra al cinema.
Fu questo l’inizio della fine, quando Diana, la mia ragazza, iniziò a insistere per vedere casa nostra al cinema. Diana non aveva solo insistito per vedere casa nostra al cinema, ma anche per affittarla come location a quelli del cinema.
- Diana, hai letto la sceneggiatura? Guarda che poi hai paura, già lo so.
Ovviamente Diana non aveva letto la sceneggiatura. Capiva solo la cifra dell’assegno prima e la possibilità di sfoggiare casa nostra (mia) a tutta Torino dopo.
- Ma vaaaaaa! È solo un film! Figurati se ho paura!
Ore e ore di affermazioni che, per l’ennesima volta, mi convincevano a fare come voleva Diana. Come quella volta che abbiamo preso Flaffy, il barboncino nano che cagava come un leone, quella volta che abbiamo ospitato un surfista californiano (a Torino?), che ha vissuto a casa nostra (mia) a scrocco per sei mesi, quella volta che mi sono fatto cotonare i capelli come il cantante dei Cugini di Campagna solo perché Diana voleva capire se “forse” gli somigliavo.
Usciti dal cinema nessuno parlava. La camminata lungo i portici di Via Roma sembrava la processione dei morti viventi. Proposi anche un brindisi nella casa dell’orrore, giusto per fare lo splendido.
- E adesso, tutti su da noi. Chi vuole una bella coppa di sangue ghiacciato? Hahahahahahahah!
Nessuna risposta. Quando mi voltai lanciai gli occhi nel vuoto, riuscendo a intravedere solo il deretano del più lento della combriccola. Mentre rovistavo nel mio impermeabile alla ricerca delle chiavi di casa, Diana non accennava a mollarmi il braccio prima di esordire con la frase che avrebbe rovinato la mia vita.
Come al solito, non stavo ascoltando una parola.
- Sì ti amo anche i… cooosa?
- Voglio andare in albergo.
- Ma che dici? Sai quanto pago di mutuo per farti vivere qui, nella casa “così bella che ci girano i film”?
- Che vuoi che ti dica? Ho paura!
- Io ti avevo avvertita però. Quindi adesso andiamo su, che ti piaccia o no. Prendere o lasciare. O così o niente. Cascasse il mondo.
Trenta minuti dopo eravamo già in albergo, naturalmente il più costoso di Torino. Quanto poteva durarle la paura? Una settimana? Un mese? Sei? Diana serbava una sorpresa niente male.
- Diana, non è mica facile vendere una casa come quella. Ci vorrà tempo.
- Allora prendiamo (che voleva dire prendi tu, paga tu, sgancia tu) un appartamento in affitto.
- Fuori discussione, che ti piaccia o no si torna a casa. Prendere o lasciare. O così o niente. Cascasse il mondo.
Il pomeriggio stesso stavamo (stavo) già firmando il contratto d’affitto per un attico in Piazza Vittorio. Quanto poteva ancora durarle la paura? Non mi importava. Dopo altro sei mesi, la sorpresa stavo per farla io.
- Diana, dobbiamo lasciare questa casa.
- No. Non riesco a vendere la casa di Piazza C.L.N. e l’affitto qui è troppo caro. Andiamo in un bilocale.
- Cosa? È una zona popolare quella.
- Basta discutere, che ti piaccia o no, si va alle Porte. Prendere o lasciare. Così o niente. Cascasse il mondo.
E quella volta il mondo cascò davvero. Il giorno dopo Diana non c’era più. Al suo posto c’erano un mutuo, due affitti e diversi insoluti, per colpa di un film che conteneva nel titolo il destino del mio conto corrente ormai, inesorabilmente, in profondo rosso.
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