Avevo una maestra delle elementari molto violenta. Probabilmente la stessa di Tricarico, o comunque della stessa pasta.
Avevo talmente paura di lei che cercavo di rigare drittissimo. (In quinta, a due mesi dall’esame, mi venne una psoriasi devastante da stress)
Ogni giorno andavo a scuola con la paura di prendere uno sganassone. Per anni ho aspettato quella mano in faccia, finché, un giorno, lo sganassone è arrivato. Quel giorno sono morte un sacco di cose, tipo ogni possibile relazione con la matematica.
Mi trascino ancora un sacco di traumi grazie alla maestra delle elementari che descriverò come un troll dalle mani tozze, unghie smaltate e anellazzi d’oro che le bloccavano la circolazione delle dita facendo il classico effetto salama da sugo.
A lei devo moltissimi dei miei atteggiamenti odiosi, tipo l’insofferenza. Da lei ho appreso che se qualcuno non ti capisce al volo, è assolutamente giusto e giustificato scattare. Quando noi non capivamo le spiegazioni lei si imbufaliva e, se andava bene, ci trattava come coglioni, se andava male volavano sberle, tirate di orecchie e, occasionalmente qualche calcio. Sì, calcio.
Un giorno fece così male a un bambino, con un calcio, che per l’occasione si scomodarono persino i genitori. (Era uno di quei bimbi iperattivi che oggi sono particolarmente protetti, super intelligente e che faceva fatica a stare seduto, a trattenere la sua esuberanza e, ahimè, il suo buon umore).
Già, fu un’occasione, perché nonostante noi poveri allievi terrorizzati provassimo a parlare ai nostri genitori della politica del terrore di questa donna e delle continue violenze verbali e fisiche, nessuno si sognava di intervenire.
Quindi quella volta del calcio deve essere stata veramente grave. Non so, o meglio non ricordo, se fu più o meno grave di quella volta che per poco non staccò l’orecchio di un bambino. E non lo dico per esagerare, si “scollò” il lembo di pelle che unisce la cartilagine del padiglione con la base del cranio.
Grazie a lei ho sviluppato un odio profondo verso chi mastica le gomme, chi trascina le sedie, chi fa rumore quando sposta un oggetto, chi tossisce o starnutisce rumorosamente, chi parla ad alta voce e verso chi respira in generale.
Per lei, qualsiasi atteggiamento di questo tipo era da ricondursi a un unico fatto: il fatto di essere bestie. Sento ancora la sua voce, mentre entra incazzata in aula già alle 8 del mattino. Ce lo diceva così tante volte che non ci sembrava nemmeno un insulto, ma un semplice dato di fatto.
Alle volte mi scorgo in atteggiamenti che mi rendo conto aver ereditato da lei, perché per quanto mi disgustino, rappresentano per me la certezza di ricevere approvazione.
Aveva anche un cognome che già diceva quale dito in culo sarebbe stata: tipo, maestra Stizzini (nome inventato per privacy, giusto per farvi capire come suonava pertinente e calzante con la sua personalità).
Quando eravamo fortunati era mister Hyde, sì la creatura mostruosa, quando non lo eravamo era semplicemente se stessa in tutta la sua forma ancora più terrificante.
C’è di buono che quella paura così atavica suscitata da quella donna mi ha portata a studiare così tanto alle elementari da vivere di rendita fino all’università. Già, ma a che prezzo?
Nessun essere vivente dovrebbe vivere nella paura, nemmeno una paura stupida come quella di una maestra pazza che ti prende a buffi perché non capisci le divisioni.
Perché alla fine dei conti, quella paura, non è tanto stupida. Si radica e innesca come risposta la violenza e ogni volta che avrai paura, reagirai con violenza. E questo solo perché il tuo modello formativo ti ha fatto crescere legittimandola e dimostrandoti che chi non ti compiace va annientato.
Scrivo questo post perché non ho mai avuto il coraggio di affrontare questo argomento, non per paura, ovviamente, ma perché veniva sempre sminuito dai “grandi”. E visto che adesso quella “grande” sono io, vaffanculo, voglio parlarne e dire che quello che la mia classe ha subito per cinque anni è stato devastante.
Ho dovuto fare un grandissimo lavoro su di me, per scardinare quelle convinzioni e ancora oggi sto lavorando per cercare di diventare una persona migliore. Almeno rispetto a lei.
Fortunatamente non sono una persona manesca, se no probabilmente risolverei tutto a pacchere pure io.
C’è di buono che almeno dallo psicologo non cado quasi mai nel cliché:
“Mi parli di sua madre…”
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